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I numeri esistono?

Non entri chi non sa la matematica (Platone)


Una volta tanto ho intenzione di mettere in disparte le classiche operazioni numeriche per lasciar spazio ad un'indagine che sta a monte delle operazioni stesse: i numeri, quelle entità con le quali facciamo addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni, divisioni e quant'altro, esistono?
Non è certo un problema da poco!

Platone e Albert EinsteinGià 2400 anni fa, circa, Platone si era posto il problema: che cosa esiste? Ecco allora che aveva tirato in ballo il concetto di dunamis (potenza) secondo il quale esisterebbe tutto ciò che può (dunatai) compiere e subire un'azione. Esisteranno quindi tutti gli enti materiali che ci circondano, è evidente, perchè possono allo stesso tempo compiere e subire azioni: il cane corre e può essere accarezzato, ad esempio, quindi esiste. Ma con questa definizione si è costretti ad ammettere anche l'esistenza di enti immateriali: le idee, ossia quelli che noi definiamo oggetti del pensiero, dovranno avere una loro esistenza proprio perchè subiscono l'azione di essere pensati; l'idea stessa di giustizia agisce anche nel senso che le cose giuste partecipano di essa: se una cosa è giusta vuol dire che ci sarà un'idea di giustizia. Di conseguenza, e qui arriviamo al dunque, in qualche misura esisteranno anche i numeri come oggetto del nostro pensiero.
Secondo l'illustre filosofo Aristotele i numeri esistono, certo, ma come pure e semplici astrazioni: egli effettua un'importantissima distinzione tra sostanza (ciò che per esistere non ha bisogno di null'altro all'infuori di sè) e accidente (ciò che per esistere ha bisogno di una sostanza cui riferirsi). Così la terra o il libro saranno sostanze proprio perchè dotati di esistenza autonoma, il blu o il marrone saranno accidenti perchè potranno esistere solo se abbinati ad una sostanza: il blu e il marrone di per sè, spiega Aristotele, non esistono, bensì esistono libri blu e terra marrone. Gli accidenti si trovano dunque ad avere un'esistenza che potremmo definire "parassitaria", ossia totalmente legata ad una sostanza cui riferirsi.
Ritornando al discorso dei numeri, Aristotele non esita a collocarli tra gli accidenti: il 2 o il 3, di per sè, non esistono, bensì esistono gruppi di due o tre sostanze: tre libri, due penne, due case...
Non è sbagliato dire che, in un certo senso, il numero è l'ultima cosa che permane man mano che si tolgono a due o più oggetti le differenze: i due libri hanno colori diversi, tolgo il colore; hanno scritte diverse, tolgo le scritte; hanno dimensioni diverse, tolgo le dimensioni; alla fine, quando li avrò spogliati di ogni cosa, resterà solo il numero: sono due.
Così ragiona Aristotele e così siamo portati a ragionare anche noi: non ci sogneremmo mai di sostenere che il 2 o il 3 esistano di per sè senza sostanze cui riferirsi. Tuttavia ci fu Platone, che tra l'altro di matematica se ne intendeva molto più di Aristotele, a sostenere l'esistenza dei numeri sganciata dalle sostanze: il 2 o il 3 per Platone esistono non solo nelle cose materiali (sostanze) che ne partecipano (2 case, 3 gatti...), ma addirittura come enti a se stanti: se ho un gruppo di 6 libri significa che esso partecipa all'idea del 6 (il numero ideale 6).
Questa strana concezione dei numeri deriva dall'impianto metafisico stesso di Platone: per lui al quesito "che cos'è x ?" (dove x sta per bello, giusto...), la risposta a questa domanda consiste nel rintracciare l'idea in questione (per esempio l'idea di bellezza,di giustizia...).
L'idea è dunque un "universale": ciò significa che i molteplici oggetti sensibili, dei quali l'idea si predica, dicendoli per esempio belli o giusti, sono casi o esempi particolari rispetto all'idea: una bella persona o una bella pentola sono casi particolari di bellezza, non sono la bellezza. Mentre gli oggetti sensibili sono caratterizzati dal divenire e dal mutamento, soltanto delle idee si può propriamente dire che sono stabilmente se stesse; proprio questa differenza di livelli ontologici, ossia di consistenza di essere, qualifica le idee come modelli rispetto agli oggetti sensibili corrispondenti. L'attività di un artigiano, per esempio di un costruttore di letti, è descrivibile da parte di Platone come un insieme di operazioni che mirano a forgiare un determinato materiale (in questo caso il legno) secondo il modello dell' idea del letto,alla quale egli si riferisce costantemente con il suo pensiero. L'idea è quindi dotata di esistenza autonoma, nè dipende per la sua esistenza dal fatto di poter essere pensata; essa è ciò di cui gli oggetti sensibili partecipano. La partecipazione all'idea, per esempio,di bellezza rende un determinato oggetto sensibile bello.
Le idee hanno quindi una quadruplice valenza: 1)ontologica: i cavalli esistono perchè copiano l'idea di bellezza; 2) gnoseologica: riconosco che quello è un cavallo perchè nella mia mente ho l'idea di cavallo; 3) assiologica: ogni idea è il bene cui tendere, lo scopo a cui aspirare; 4) di unità del molteplice: i cavalli esistenti sono tantissimi e diversissimi tra loro, ma l'idea di cavallo è una sola.
Ora anche i numeri sono idee e hanno pertanto le prerogative delle idee: così come quel cavallo è bello perché partecipa all'idea di bellezza, esso è uno perchè partecipa all'idea di uno; così come i cavalli materiali sono una miriade, ma l'idea di cavallo è una, così anche i 3 scritti sulle lavagne o sui fogli sono una miriade, ma l'idea di tre è una sola, da cui tutti gli altri tre dipendono. I numeri sono sì idee come le altre, ma si tratta di idee particolarmente complesse tant'è che Platone non esita a collocarli su un livello superiore: i numeri ideali, ossia le essenze stesse dei numeri, in quanto tali, non sono sottoponibili ad operazioni aritmetiche. Il loro status metafisico è ben differente da quello aritmetico, appunto perchè non rappresentano semplicemente numeri, ma l' essenza stessa dei numeri. In effetti, non avrebbe senso sommare l'essenza del due all'essenza del tre e così via. I Numeri ideali, quindi, costituiscono i supremi modelli dei numeri matematici. Inoltre, per Platone i numeri ideali sono i primi derivati dai Principi primi, per il motivo che essi rappresentano, in forma originaria e quindi paradigmatica, quella struttura sintetica dell' unità nella molteplicità, che caratterizza anche tutti gli altri piani del reale a tutti gli altri livelli. Inoltre, Aristotele ci riferisce: "Platone afferma che, accanto ai sensibili e alle Forme (idee), esistono enti matematici intermedi fra gli uni e le altre, i quali differiscono dai sensibili, perchè immobili ed eterni, e differiscono dalle Forme, perchè ve ne sono molti simili, mentre ciascuna Forma è solamente una e individua". Platone ha introdotto questi "enti matematici intermedi" per i seguenti motivi: i numeri su cui opera l'aritmetica, come anche le grandezze su cui opera la geometria, non sono realtà sensibili, ma intellegibili. Però, tali realtà intellegibili non possono essere Numeri Ideali nè Figure geometriche ideali perchè le operazioni aritmetiche implicano l'esistenza di molti numeri uguali (pensiamo ad esempio ad un'equazione dove, per dire, il numero 6 può comparire diverse volte) e le dimostrazioni e le operazioni geometriche implicano molte figure uguali e molte figure che sono una variazione della medesima essenza (pensiamo a molti triangoli uguali e molte figure che sono variazioni della medesima essenza, ossia triangoli di vario tipo: equilatero, isoscele...). Invece, ciascuno dei Numeri Ideali (così come ciascuna forma ideale) è unico, e inoltre i Numeri Ideali non sono operabili.
Se si tiene presente questo, risultano chiare le conclusione platoniche sull'esistenza di enti matematici aventi caratteri "intermedi" fra il mondo intellegibile e il mondo sensibile.
In quanto sono immobili ed eterni, gli enti matematici condividono i caratteri delle realtà intellegibili, e cioè delle idee; invece, in quanto ve ne sono molti della medesima specie, sono analoghi ai sensibili.
Il fondamento teoretico di questa dottrina sta nella convinzione radicatissima in Platone della perfetta corrispondenza fra il conoscere e l'essere, per cui ad un livello di conoscenza di un determinato tipo deve necessariamente far riscontro un corrispettivo livello di essere. Di conseguenza, alla conoscenza matematica, che è di livello superiore alla conoscenza sensibile, ma inferiore alla conoscenza filosofica, deve corrispondere un tipo di realtà che ha le corrispettive connotazioni ontologiche. I numeri ideali sono superiori alle idee stesse in un certo senso perchè ne regolano i rapporti numerici con cui si rapportano con la realtà.

Certo oggi a noi la concezione di Platone sembra molto distante e improbabile e preferiamo quella aristotelica, tuttavia sorge un dubbio che rimette in gioco la teoria platonica: e se nessuno contasse più, i numeri continuerebbero ad esistere? Con la definizione aristotelica, infatti, essi esistono solo come processo di astrazione della mente umana e, se vi fosse un improvviso annichilimento della realtà, sembra quasi che non contando più nessuno i numeri debbano sparire, ma è evidentemente ridicolo dire così. 2 + 2 = 4 è vero anche senza che io lo pensi e quindi pare aver ragione Platone: i numeri hanno esistenza autonoma.

Diego Fusaro ( www.filosofia.3000.it )